Editing col ca.

Inviato da campoverso il Sab, 17/12/2022 - 16:31

In realtà  sono *soltanto l'editor di videor e videor.it da videor._com al Caspur: è  il modo che  [videor e la poesia lacab comunicazione produce Video._com e le Edizioni Digitali che fanno riferimento a Videor la videorivista di poesia di Elio Pagliarani] 

La ChatConference e' lo spazio d'entrata.Condotta da ClaudiaCataldi (anchorman@lacab roma it) con il suo gruppo (plgrs@lacab.roma it, stephen@lacab.rona.it) in sincrono (webchat) e in asincrono (wiev all). Atte., c'e' una colonna sonora Da qui nei Canali scrollano uno dopo l'altro i lavori inviati in FTP (con il pubblish di Netscape) 

I vecchi fans delle apparizioni precedenti sanno che il libro è un viaggio indimenticabile nella Smoderatezza Parodistica, è una visita ricreativa all'Esposizione universale delle stronzaggini antiche e attuali, copiosamente esibite (però a ritmo veloce) con fantasiosa disinvoltissima eleganza e humour, illuminate dall'intelligenza. Tale era il SuperEliogabalo fin dal principio e tale è rimasto, è quasi inutile dirlo, con tutti i ritocchi e gli aggiornamenti e arricchimenti introdotti da un'edizione all'altra. Se l'Eliogabalo ha seguito la stessa sorte del Fratelli d'Italia, di essere riveduto due volte, anche a distanza di decenni, un motivo dovrebbe esserci. Ecco, io penso che l'autore prediliga queste sue creature così diverse perché entrambe hanno puntato a una visione onnicomprensiva dell'insignificanza loquace. Fratelli d'Italia, romanzo conversazione di voci annaspanti in un mondo che si recita addosso senza conoscersi, è nel fondo una commedia tragica. SuperEliogabalo è una sceneggiata comica, una farsa profetica che rimbalza dall'Impero romano protervamente più delirante al più sgangherato tempo «presente» dei nostrani giorni non meno insensati. Il gran gioco parodistico di Arbasino sembra nato da una rivolta, sua, personale, contro la malinconia che si accumula sugli umani storia facendo. Scritto nel 1968, il primo Eliogabalo scatta da un curioso intreccio di «trame e griglie disparatissime». Lo stesso autore spiegò che, tra entusiasmi e tumulti e catastrofi, andando in giro per gli Stati Uniti e l'Europa, gli venne voglia di «raccontare subito le illusioni e le disillusioni e i fallimenti della prima grande rivolta giovanile del nostro tempo». Ma contemporaneamente, oltre a seguire i soliti mille interessi, «progettava un film villano su un imperatore romano molto minore, con una famigliaccia molto romana piena di debiti». E qui cadono suggerimenti e consigli di amici (in primis da Luigi Malerba venne l'idea di un thrillerpochade imperiale e guitto in costume da bagno e con guizzi «piuttosto moderni»). Così spunta la figura adolescente di Eliogabalo, imperatore a 14 anni, trucidato dai pretoriani a 18. Si era nell'anno 222 d.C.. Di questo ragazzotto sfrenato sono tramandate stranezze e crudeltà. Antonin Artaud, che non era uno storico ma un artista e di esperienze estreme, ne fece nel suo Héliogabale un libertino mistico, un anarchico Re Solare che accetta malamente di essere un io umano, e che sputtana l'impero in tutti i modi concepibili, i più oltraggiosi e sordidi. L'Eliogabalo di Artaud, depurato della sua seriosità, diventa in Arbasino una metafora grottesca dell'incolpevole ribelle demolitore delle ultime illusioni antropologiche ancora in circolazione, e che alla fine dev'essere immolato. Il SuperEliogabalo non sarebbe tale se non godesse di una natura composita. Deve qualcosa al Re Ubu di Jarry, e di striscio anche al Nerone e al Gastone di Petrolini, e molto agli storici della Decadenza romana (Lampridio, Erodiano, Dione Cassio, l'Historia Augusta), che Arbasino gli fa leggere e commentare nei momenti di relax (il bello è che la traduzione delle fonti è deliziosamente manipolata dall'autore nello stile «parlato» da Eliogabalo). Il trovarobato del nostro scrittore è ricchissimo, inesauribile. E rifornisce il ragazzotto imperatore di riflessioni colte, di citazioni spumeggianti alternate con volgarismi sprezzanti. Se il SuperEliogabalo fosse quel filmaccio baracconesco che avrebbe potuto essere, dietro i titoli di coda vedremmo tranquillamente sfilare le facce lunatiche di Jarry, Nietzsche, di Roman Jakobson, di Bouvard e Pécuchet, Tzara e Breton, Totò e Lacan insieme ai Fratelli Marx, di Adorno e tutta la Scuola di Francoforte, Freud e Schnitzler, e i futuristi italiani e russi, e chissà quanti altri che scorrono via e non facciamo in tempo a riconoscere. Assistiamo a una specie di Ballo Excelsior alla rovescia, una Hit Parade esilarante di golose diffamazioni e intramontabili modelli del sordido. Il copione fa il verso al kolossal in costume, a un cabaret ingigantito con scenari da Luna Park, a un musical calderone e svergognato. Tutto si realizza nella scrittura. Il musical è raccontato e recitato nella pagina, variato con le sue brevi canzoni e ballate, le gags e i balletti, e una frenetica accumulazione di cataloghi, fumetterie, sciocchezze e deliri di frivolezza. Ne segue che la «commediaccia» è una celebrazione del travestitismo. Dato che il capriccioso Imperatore «altri non è che una Monica Vitti, con un insano surplus di lezii ironici e graziette», niente vieta di immaginare le sue quattro «mamme», bellone ingorde e balorde ma accortissime a farsi i cazzi loro nei momenti giusti, interpretate da Fratelli Marx molto felliniani truccati da esuberanti dame romane (rigorosamente anni Trenta). Anche la scrittura del libro, che sguazza imperialmente nello scialo, vuol esser presa per travestita, così com'è, fino al punto che attraverso i nonsensi e le tristezze indiavolate, si possa cogliere perfino un «O patria mia, vedo le mura e gli archi» come vera malinconia e dolore. Le mamme di Eliogabalo, estasiate dal Kitsch, gridano festevoli: «Siamo in Italia!!! La sede dell'orrore!!!». La sede del sincretismo frazionistico politicoreligioso (tutte le politiche! tutte le religioni tutti gli spot!). «Questa nostra epoca deve finire al più presto», annota l'Eliogabalo più segreto e profetico e surrealista in un suo taccuino «quasi pieno di scrittura automatica». E prima di essere sbranato da due aquile romane ammaestrate dal precettore, si scrive un fiero e insolente epitaffio, che conclude con uno sberleffo: io la mia parte l'ho fatta, anzi VE L'HO FATTA. La magistrale composizione era già nel testo riveduto del 1978. Lo segnalo perché nell'occasione Eliogabalo s'era truccato da Arbasino (l'ultimo travestimento). Accidenti, che chiaroveggenza. Vuol dire che scriverselo con decenni di anticipo, l'epitaffio, porta tutt'altro che male. È un marameo di buon augurio.

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il 5% di realtà e al resto ci penso io [Franco Cordero] 2006 Trovai che quanto avevo desiderato, tutta la vita, non era vivere - se si chiama vivere ciò che fanno gli altri - ma esprimermi. ... [Henry Miller, Tropico del Capricorno]

La trasparenza democratica della rete, leggendo Baudrillard e, leggendo domenica il giornale quotidiano, "rendere tutto pubblico e trasparente frena la costruzione democratica: non fa emergere contrasti interni al gruppo o proposte strane che suggeriscano delle innovazioni" ci ricorda di ricorrere al nostro lavoro tra arte e comunicazione, tra scrittura e televisione.

Con Videor 1988 ci misuravamo proprio con l'inevitabile dissidio tra il video e la tele visione da una parte e la scrittura e la poesia dall'altra, mettendole insieme per dare alla tecnologia elettronica una chance rispetto all'antica tecnologia della parola. Ricorrendo a quella particolare attitudine all'oralità di certi poeti e di certi versi Vito Riviello Elio Pagliarani Giovanna Bemporad Corrado Costa Amelia Rosselli Adriano Spatola Edoardo Sanguineti Giorgio Celli Alfredo Giuliani (e Giorgio Caproni Beppe Salvia Teresa Campi Guido Galeno Toti Scialoja Iolanda Insana Dario Bellezza tra gli altri, tanti, che animavano i readings almeno degli anni ottanta) facevamo direttamente televisione senza però esplorare più di tanto le possibilità del mezzo, concentrandoci piuttosto sulle personalità degli scrittori disponibili